In questo articolo raccontiamo l’esperienza di Giovanni al :Justice beyond the border: connecting people to restore just relations – l’undicesima conferenza internazionale del Forum Europeo per la Giustizia Riparativa (EFRJ)
il Forum
Abbiamo passato cinque giorni a Sassari partecipando alla 11^ conferenza internazionale dello European Forum for Restorative Justice.
Abbiamo incontrato persone provenienti da 41 diversi Paesi che come noi si occupano di giustizia riparativa, tutte accomunate dall’idea che un altro modo di parlare e di pensare la giustizia sia possibile. E che la giustizia sia qualcosa di più di quella amministrata dai tribunali.
Il titolo stesso dell’evento spiega perché fossimo lì: “Justice beyond the border: connecting people to restore just relations“.
Connettere le persone per ristabilire relazioni.
La Giustizia
Nel mio modo di vedere se la Giustizia si limita a prendere in considerazione l’aspetto punitivo-retributivo della risposta al fatto-reato manca del tutto il suo obiettivo, perde la funzione essenziale di fare in modo che le persone possano essere comunità, che possano essere sicure, che possano avere relazioni tra loro anche nel conflitto.
Del resto, cosa è il fatto-reato se non una rottura della relazione sociale tra chi lo commette e chi ne subisce (a qualsiasi titolo) le conseguenze?
Se non ci prendiamo cura della relazione facilitando la rigenerazione di quello che è stato rotto, i protagonisti resteranno per sempre intrappolati nel ruolo che il fatto accaduto (e l’immagine che ne abbiamo) ha costruito per loro.
Quello della vittima e del carnefice.
La persona buona e quella cattiva, la prima da compatire e la seconda da punire.
Non sarà consentito loro di andare avanti, di avere una vita che prosegua superando quello che è accaduto.
E questa, per me, non è Giustizia.
Forse è giustizia nel senso di amministrazione delle pene, di gestione una vendetta che si ritiene, affidandola al Pubblico, possa essere meno pericolosa per la convivenza, ma non è Giustizia nel senso di profonda connessione tra gli individui che formano una comunità.
Forse è per questo che fatico a continuare il mio lavoro come avvocato, perché mi pare che quello che faccio manchi di senso profondo, che è quello di cui ho più bisogno.
Le Testimonianze
In uno dei momenti del forum sono saliti sul palco i protagonisti di esperienze di incontro e dialogo tra gli autori di atti delle lotte armate e persone che di quegli atti hanno subito le conseguenze.
Italia, Spagna, Irlanda del Nord, i loro luoghi di provenienza.
Brigate Rosse, Eta, Ira le sigle alle quali le loro storie facevano riferimento.
Storie cariche di sangue e di dolore.
Dieci anni il percorso di incontri e dialogo attraversato insieme.
Agnese Moro, parte di quel gruppo di persone, ha avuto delle parole meravigliose.
A scavare più profondamente in me sono state quelle riferite a come il dialogo con “l’altro” le abbia consentito di riappropriarsi dei momenti belli vissuti con il padre, Aldo, ucciso dalla Brigate Rosse tanti anni fa.
Ripartire
Il fatto non cambia, il dolore non scompare nemmeno a distanza di così tanto tempo, solo non invade più tutto il ricordo, permette di recuperare i momenti belli e di far ripartire la vita.
“Prima le fotografie di mio padre, anche quelle belle, erano sempre coperte di sangue ai miei occhi. Ora il sangue è andato via, è tornato il ricordo dei momenti belli”
La consapevolezza del male causato, dei motivi che hanno spinto a farlo, la assunzione di responsabilità, il vedere l’altro non più come un nemico, una funzione, una divisa, un ruolo, ma come un essere umano, un padre, un marito, permette agli autori di fatti terribili di avvicinarsi alla vita come persone nuove fino ad avere un ruolo di testimonianza che può davvero servire a fare in modo che certe cose non si ripetano e, quindi, a creare una società che sia più sicura non per la paura delle conseguenze di una azione, ma per la condivisione di un senso profondo di connessione.
La Giustizia Riparativa
La Giustizia Riparativa è un modo di affrontare la vita, i conflitti quotidiani con noi stessi, in famiglia, sul lavoro, in tutti luoghi nei quali la nostra vita si esprime.
Quante volte di fronte a qualcosa che accade abbiamo detto (o ci siamo sentiti dire) “non è giusto”?
Chi, come me, ha il ruolo di genitore di una figlia in preadolescenza sente questo suono come un mantra nelle orecchie tutti i giorni e io so che fare finta di niente sarebbe il vero problema.
Le parole “non è giusto” raccontano di diseguaglianza, di squilibrio di potere, di necessità di essere visti, di una relazione che sia congruente con i valori di ognuno, di bisogno di ascolto, di espressione, di accoglienza.
Nel mio sentire, la Giustizia non può mai essere lontana dal dialogo ed il dialogo non può essere mai lontano dal riconoscimento dell’altro.
Negare il conflitto, fare finta che non esista, allontanarsi per non sentirne la voce, non fa altro che fare in modo che il suo volume aumenti, che diventi doloroso, violento.
Non riconoscere che i valori dell’altro rappresentato e determinano la sua realtà, esattamente come è per noi, significa negargli dignità di esistere come persona, significa non lasciargli altra scelta che quella della violenza, in qualsiasi forma si manifesti.
Riconoscere dignità ai valori dell’altro, soprattutto quando non siamo d’accordo o siamo in conflitto con quei valori, non significa accettarli supinamente o rinunciare ai propri, significa costruire un ponte tra il nostro mondo ed il suo e cercare punti di incontro.
Certo, è un esercizio difficile, richiede impegno, allenamento, consapevolezza, eppure i suoi frutti sono di valore immenso.
Il Dialogo nella quotidianità
E come entra la Giustizia Riparativa nei luoghi nei quali la nostra vita si svolge?
Sul posto di lavoro, a scuola, nel vicinato o nel condominio, in famiglia.
Nel forum si è parlato di Città Rigenerative, di cui in Italia abbiamo bellissimi esempi: Tempio Pausania, Lecco, Como ed altre che stanno avviando progetti in tal senso (https://www.euforumrj.org/en/working-group-restorative-cities).
Città in cui le comunità hanno scelto il dialogo come modalità collettiva di attraversare i confitti e prendere decisioni, ed hanno coinvolto in questa scelta la cittadinanza, le amministrazioni locali, le istituzioni aumentando la partecipazione collettiva ai processi di comunità.
Hanno sperimentato il dialogo nelle situazioni difficili, su temi fortemente divisivi (penso ai “risto covid-19 circles” di Lecco che hanno permesso il dialogo su uno degli argomenti maggiormente polarizzanti e divisivi degli ultimi anni).
Si è parlato di come costruire delle Scuole Rigenerative attraverso le esperienze portate avanti in Lombardia da Guendalina Dell’Anno ed in Sardegna da Gian Luigi Lepri ed i loro rispettivi team, di come portare i sistemi di Restorative Justice nelle Aziende, nei team sportivi e nelle università attraverso l’esperienza nel Regno Unito di Charlotte Chalking e della sua “The Reset Way”.
Nelle Aziende
Io credo che anche qui sia il caso di iniziare a parlare di Aziende ed Organizzazioni Rigenerative, nelle quali il dialogo possa consolidare le relazioni, aumentare la sensazione di sicurezza, diminuire lo stress, aumentare l’engagement riducendo il turnover e facendo crescere il commitment, come accade in modo naturale in quegli spazi (fisici o relazionali) all’interno dei quali le persone stanno bene e sperimentano sicurezza e riconoscimento come esseri umani.
Abbiamo l’ambizione o il sogno che il cambiamento sociale possa passare anche attraverso il cambiamento delle relazioni sul posto di lavoro, nella scuola, nelle associazioni, in ogni luogo nel quale le persone, condividendo rischi e benefici, agiscono come una comunità.
Ed abbiamo l’ambizione o il sogno di poter essere noi ad accompagnare aziende ed organizzazioni attraverso questo cambiamento. (scopri chi siamo, il progetto mindfulnetlife e cosa facciamo)
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